Cartografia e iconografia della protoindustria in Campania

In Campania, ed in buona parte del Mezzogiorno, fino ad oggi, non si sono valorizzati appieno beni culturali di rilievo quali le fonti documentarie e cartografiche delle aree della “protoindustria”. Si tratta di centinaia di fondi e documenti, contenuti in archivi pubblici e privati, che forniscono un quadro non marginale, ma caratterizzante dell’identità civile e culturale del Mezzogiorno d’Italia, non solo per la consistenza e l’importanza del processo protoindustriale, che si snoda nell’arco di oltre quattro secoli, ma soprattutto per gli effetti ancora operanti nel periodo contemporaneo. Uno stretto rapporto caratterizza, all’interno degli stessi poli manifatturieri, protoindustria e nascita dell’industria, insediamenti protoindustriali e identità del territorio. Sono tracce di “civiltà” che, per essere valorizzate pienamente, hanno bisogno del supporto di questi fondi documentari legati alla cartografia; fondi che, in questo modo, divengono dei veri e propri “documenti-monumenti” per lo studio della civiltà e del territorio. I processi che permettono l’affermazione della protoindustria interessano non poche zone della Campania e del Mezzogiorno d’Italia collocate in aree appenniniche, che propendono generalmente verso il mare, soprattutto verso il Tirreno, e che intersecano alcuni fondamentali bacini idrografici e alcune pianure costiere legate all’allevamento transumante. Un sistema che, secondo Braudel, vede le montagne appenniniche diventare un enorme serbatoio umano, una “fabbrica di uomini”, espulsi a vantaggio della pianura e delle città proto-industriali. Sono soprattutto tre elementi – l’abbondanza di corsi d’acqua e quindi la rilevante disponibilità di energia idraulica, la grande quantità di materia prima, una robusta presenza di uomini e di insediamenti urbani – quelli che permettono, fra Cinquecento e Seicento, la nascita di alcuni poli protoindustriali in Campania e nel Mezzogiorno. Influiscono anche alcune congiunture internazionali, come la modificazione dell’assetto dei mercati europei, la crisi che interessa la produzione delle città dell’Italia centrosettentrionale; e importanti si rivelano, inoltre, la politica statale e l’iniziativa feudale. Lo Stato concede esenzioni e privilegi, la feudalità attira maestranze straniere e capitali, e modifica le vocazioni originarie del territorio a fini industriali. Spesso è il baronaggio stesso a sostituirsi allo Stato nel promuovere iniziative protoindustriali. In questo modo, nell’età moderna, le vicende del comparto manifatturiero si legano alla storia di alcuni feudi e alle figure di alcuni aristocratici campani. All’ombra dell’iniziativa feudale si forma un tessuto non solo di artigiani e maestranze, ma anche di ricchi negozianti e di veri e propri imprenditori, che assumono una certa funzione quando, nell’Ottocento, si assiste ad un vero e proprio passaggio dalla protoindustria all’industria. Lo studio scientifico complessivo della cartografia della protoindustria, mediante la costruzione di una mappa dei poli insediativi e la creazione di una banca dati, si è rivelato importante per una molteplicità di motivazioni. Attraverso questo studio è stato possibile ricostruire, nel lungo periodo, le grandi opere di antropizzazione sul territorio: le grandi modificazioni del paesaggio e in particolare la sistemazione degli assetti idrogeologici, elemento fondante della cultura delle popolazioni. Il rapporto uomo-acqua ha infatti caratterizzato, anche da un punto di vista antropologico e mentale, la vita delle popolazioni campane. Un rapporto non facile che ha visto da una parte l’edificazione di sofisticate opere di ingegneria idraulica – anche mediante l’intervento di maestranze genovesi –, dall’altra le periodiche alluvioni che distruggono impianti, centri abitati e determinano vere e proprie catastrofi demografiche. L’analisi sistematica della cartografia della protoindustria e la costruzione di una mappa complessiva degli insediamenti, con quello che resta dei loro opifici, possono costituire oggi eccellente premessa per il recupero di poli di “archeologia industriale”, suscettibili di divenire risorse in termini di sviluppo sostenibile.

Il progetto si è rivelato uno dei più significativi sul piano nazionale relativamente a questa specifica tematica, per quantità e qualità degli elementi affrontati, per competenze interdisciplinari degli studiosi e coinvolgimento di enti ed istituzioni di ricerca.

Le fonti cartografiche degli insediamenti protoindustriali del Mezzogiorno d’Italia sono relative a specifiche tipologie di impianti (gualchiere, cartiere, ferriere, ramiere, pastifici, impianti per la molitura), opifici frutto di una vera e propria costruzione del territorio e di una capillare razionalizzazione dei sistemi idrici, dell’Irno, del Picentino, del Fenestrelle, del Liri, dei bacini idrografici della Costiera amalfitana. Si tratta di fonti localizzate negli Archivi di Stato di Napoli, Salerno, Avellino, Caserta, Benevento, Roma: centinaia di incartamenti che contengono pregiate rappresentazioni grafiche a colori, su carta o su stoffa, disegnate da esperti tavolari (ingegneri) o da architetti della Camera della Sommaria, per incarico dei competenti organi ministeriali napoletani, o su incarico di altre autorità periferiche.

La cartografia è soprattutto di due tipi: commissionata per un uso privato, per compiere una stima complessiva dell’opificio, nel caso di costruzione o ristrutturazione degli impianti idrici dei mulini, o degli altri complessi protoindustriali; redatta da periti di parte o incaricati dal tribunale, nel caso di contenziosi sulla proprietà o sull’utilizzazione delle acque. Nell’uno e nell’altro caso la cartografia, spesso accompagnata da una voluminosa documentazione cartacea, dà indicazioni precise sulla topografia dell’impianto, sulle particolarità del corso d’acqua e del bacino idrografico, sugli assetti idrogeologici del territorio, sulla cronologia della costruzione e sulle cause della ristrutturazione degli impianti, sul funzionamento tecnologico degli opifici (dal sistema idraulico al funzionamento dei mulini), sui passaggi di proprietà. Si tratta di cartine prevalentemente settecentesche e del primo Ottocento, non redatte secondo i criteri della cartografia attuale (dove compaiono le curve di livello), composte in base a piccole scale in cui per evidenziare i rilievi si utilizza ancora una tecnica cromatica o del tratteggio. Al fine di analizzare la tecnologia idraulica e meccanica degli opifici protoindustriali, si è proceduto ad uno studio analitico delle singole cartine e ad una loro catalogazione.

Dall’esame dei diversi elementi è scaturita una casistica che ha dato un contributo forse definitivo alla ricostruzione dell’evoluzione della tecnologia idraulica e meccanica degli opifici protoindustriali. Dopo l’introduzione tardo-medievale del mulino alla Grénoble, proveniente dalla Francia ed utilizzato per la produzione della carta nella Costiera di Amalfi (poi ripreso anche per la gualcatura della lana o per la produzione del ferro) durante l’età moderna, nel Mezzogiorno d’Italia non si assiste a vere e proprie “rivoluzioni” meccaniche negli impianti dei mulini. Le principali innovazioni toccano, invece, la tecnologia idraulica, che viene completamente razionalizzata ed ammodernata agli inizi del Seicento da personale genovese e utilizzata per i mulini per cartiere, gualchiere e ferriere, e la tecnica della combustione della torba, utilizzata nelle ferriere, che permette la fabbricazione di metallo più puro attraverso l’introduzione del “forno alla catalana”. Il progetto si è articolato in due fasi: nella prima si è operato un censimento complessivo, creando una banca dati della cartografia esistente in Campania, fra periodo moderno e contemporaneo; nella seconda sono stati prodotti diversi contributi scientifici, raccolti nel seguente volume in due tomi, redatti da docenti di diverse Università italiane e da funzionari degli Archivi di Stato.

Il progetto ha consentito la creazione di una mappa, costruita attraverso le fonti cartografiche, delle aree della protoindustria campana allo scopo di individuare eventuali poli di “archeologia protoindustriale”.

Questo studio è soprattutto importante per la ricaduta culturale ed ambientale sul territorio. I diversi percorsi scientifici, degli studiosi e degli archivisti, sono stati finalizzati a fornire un grande quadro (mappa) degli antichi o moderni poli della protoindustria e a formulare ipotesi di un loro recupero e valorizzazione – volti alla creazione di circuiti di “archeologia industriale” – da inserire a potenziamento delle odierne “risorse disponibili” del territorio campano.

Oggi le risorse del territorio non vanno più individuate meramente nei classici settori economico-produttivi, ma anche in quelle forme culturali che nel lungo periodo hanno visto l’instaurazione di un rapporto, a volte anche difficile, fra popolazione e territorio. In molti di questi centri campani – lo dimostrano gli odierni programmi economico-urbanistici – si sono smarriti gli elementi comuni caratterizzanti l’identità territoriale, «quell’insieme di rappresentazioni d’immagini e d’idee, attraverso le quali una società urbana […] costruisce per se stessa e per gli altri un autopersonaggio, un autoritratto» (Le Goff). In queste aree la costruzione dell’identità deve obbligatoriamente passare attraverso questi importanti documenti (la cartografia della protoindustria) e monumenti (quello che resta dei poli protoindustriali); opere di intere generazioni che sapientemente hanno saputo costruire diversi saperi – dalla viabilità, ai sistemi idraulici semplici e complessi, alla edificazione di mulini e di altri opifici – ed una propria immagine identitaria territoriale, oggi, purtroppo, per molti versi appannata.

La ricerca ha fatto riferimento ai principali studi europei che hanno preso in esame gli insediamenti e la produzione protoindustriale. Presupposti essenziali sono costituiti dagli studi sulla produzione manifatturiera urbana ed extraurbana, sulla costruzione del territorio agricolo e protoindustriale, sulla nascita di sistemi complessi di potenziamento delle risorse idrauliche e sicurezza del territorio in termini idrogeologici. Si sono verificati, in termini scientifici, accanto ai risultati della più recente ricerca storica europea, i fattori ritenuti determinanti nella costruzione degli spazi e nell’adozione di particolari forme di protoindustria del Mezzogiorno: i luoghi della protoindustria; la creazione di particolari spazi sia in rapporto alle città sia in rapporto all’hinterland rurale. Ancora il ruolo di altri fattori socio-economici: l’importanza assunta da alcuni mercati, interni al Regno di Napoli, come quello laniero; l’accumulazione di capitale; le forme di commercializzazione dei prodotti protoindustriali; la disgregazione della famiglia tradizionale con il passaggio dalla famiglia allargata alla famiglia semplice; la liberazione di forza lavoro dall’agricoltura verso i settori protoindustriali; le forme di pluriattività. Le fonti documentarie degli insediamenti protoindustriali del Mezzogiorno d’Italia sono relative alla tipologia dei principali poli manifatturieri meridionali (gualchiere, cartiere, ferriere, impianti idraulici complessi). Sono incartamenti localizzati, oltre che in alcuni archivi privati, soprattutto negli Archivi di Stato di Napoli, Salerno, Avellino, Caserta, Chieti, Pescara, L’Aquila, Potenza, Campobasso, Roma.

Il piano di lavoro organizzato ha dovuto tracciare innanzi tutto la periodizzazione da impostare nella ricerca, che essenzialmente riconosce quali attività protoindustriali tutte la produzione delle comunità locali che esuli dall’autoconsumo e che utilizzi macchine mosse da forza idraulica. In tale ottica il punto focale della ricerca è stato individuato nel fondo Tribunale Civile (Salerno, Avellino, Napoli, Caserta) serie Perizie, in quanto in tale documentazione sono facilmente reperibili gli elaborati cartografici redatti a sostegno delle perizie commissionate dal tribunale in occasione di vertenze sorte in ordine alle proprietà di singoli privati.

L’analisi dei fascicoli ha confermato l’ipotesi elaborata, con una selezione di decine di casi che sono andati ad implementare la banca dati dell’Archivio e avviando schemi di ricerca su altri fondi.

La disponibilità di alcune indicazioni sui luoghi e sulle persone, ha consentito di approfondire ricerche su fondi che in prima istanza erano stati esclusi, quali il Genio civile e la serie Opere pubbliche del fondo Intendenza, che costituiscono una fonte preziosa per i lavori ordinari di manutenzione e bonifica di alvei e strade oltre alla riparazione di danni conseguenti a calamità naturali. La particolare natura dell’organismo del Genio civile o, per meglio dire, di Ponti e Strade, non evidenzia interventi volti migliorare infrastrutture destinate alla produzione industriale in quanto interesse precipuo dei due organi tecnici era la manutenzione ordinaria o straordinaria, tuttavia essi, proprio perché localizzati in determinate zone, diventano apprezzabili anche in questa particolare ottica. Un esempio in questo senso è costituito dal ponte di Fratte e dai lavori all’alveo del sottostante fiume, nodo strategico per i traffici commerciali e industriali provenienti dalla valle dell’Irno e diretti verso il porto di Salerno e la carrozzabile per Napoli, dove l’attenzione dei tecnici fu sempre viva dopo i gravi danni sofferti nel I documenti dell’Archivio di Stato di Salerno del secolo XIX – corso dell’alluvione del novembre 1773, che «non solo devastò il ponte detto delle Fratte, ma rovinò tutta la strada principale, che da questa città porta così in tutti i casali della medesima, come nello stato di Sanseverino, Giffoni, ed in altri diversi luoghi motivo per cui stentatamente si traffica per detta strada, e specialmente in tempo d’inverno, che non solo corre abbondantissima acqua per l’alveo del fiume principale, ma benanche vi si aggiungono vari altri piccioli scoli d’acqua, che colano dagli contigui luoghi eminenti, che molte volte per più giorni viene interrotto il traffico». Nel 1790 i lavori per la ricostruzione del ponte erano stati appaltati all’imprenditore Tommaso Di Mauro e si conclusero il 27 agosto del 1791, ma non distolsero l’attenzione dalla strada attigua tanto che il regio ingegnere Pasquale Pinto, per valutare l’effettiva necessità di tali lavori scriveva:

La strada di cui in questa mia relazione tratterò e appunto quella che principia dal ponte denominato della Fratta, non da gran tempo costrutto, e contermina nel luogo detto dell’Olivella, che confina tra il territorio della città di Salerno, e quello dello Stato di Sanseverino. […] La detta strada della Spontumata ha la comunicativa da una banda colla Regia Strada di Napoli e dall’altra con quel di Puglia, colle provincie di Principato Citra, gli Abbruzzi e Campobasso. L’importanza del sito è affermata anche dalla circostanza che il procuratore dei cittadini di Salerno ritenga molto più utile i lavori per la rifrazione del ponte della Fratta e della strada della Spontumata che non quelli per la costruzione del porto di Salerno: Senz’altra remora dette opere si perfezionino. Molto più che essendovi circa ducati 2000 addetti all’opera del porto di Salerno, avendo stimato la M.V. che da tal opera si soprassedesse, questa summa a siffatta strada, e ponte potrebbe addirsi, come opera più utile, e più necessaria, e di minor dispendio, che non è il porto anzidetto. L’attenzione rivolta ai corsi d’acqua non si ferma naturalmente al fiume Irno, difatti anche il Sarno, ugualmente utilizzato quale forza motrice da importanti aziende soprattutto del settore tessile, fu oggetto di vari interventi di bonifica e rifacimento delle sponde, senza nascondere gli abusi commessi dai proprietari dei mulini con sbarramenti irregolari che, se aumentavano la portata d’acqua per animare le macchine, facilitavano le ricorrenti piene e le inevitabili inondazioni.

Il direttore generale di Ponti e Strade scrive al ministro delle Finanze:

Eccellenza, Sua Maestà il re nostro Signore nel recarsi a Gragnano per darne i suoi benefici provvedimenti nel disastro ivi avvenuto, osservò con profondo dolore le estese inondazioni cagionate da’ traboccamenti del fiume Sarno. Ebbe allora occasione di notare che la tortuosa foce del fiume produceva ritardo allo scarico delle acque fluenti che era contrastato da’ cavalloni del mare. Quindi fattomi venire alla sua real presenza mi ordinò di far subito aprire un nuovo canale retto, che con breve cammino conducesse a scaricare il fiume in mare in occasione di un’altra piena. Diedi pronta esecuzione a questo sovrano comando, ed affidai la direzione del lavoro all’ingegnere Maiuri ed all’Ispettore Isè […]. L’ispettore Isè, nel predisporre i nuovi lavori da effettuare, risponde: Signor Direttore Generale, avanti ieri 25 andante, dietro gl’ordini ricevuti da Lei a voce, ed assistiti dall’Ing. Sig. Maiuri, mi recai alla foce del fiume Sarno affine di disporvi l’apertura d’un nuovo sbocco al mare che più direttamente ed in ausilio di quello che vi è stabilito naturalmente, servisse a facilitare lo scarico delle acque. Commisi infatti all’appaltatore Sig. Domenico Bosse l’apertura d’un alveo della larghezza di palmi 12, […] d’onde il fiume attraverso la duna EF segue la curva BC risultante dalla sua velocità e dalla traversia di ponente. Il lavoro fu intrapreso sotto i nostri occhi da quelle poche genti ove si poterono nel momento riunire, e l’appaltatore lasciato il suo incarico sul luogo, si recò immantinente a provvedere una forte partita d’operai per poter la mattina di ieri spiegarvi tutta l’attività di che era capiente lo spazio, e ciò nella intelligenza che l’ingegnere signor Maiuri si sarebbe ieri medesimo recato di nuovo sul luogo per verificarne la massima attività. Pianta ed alzato del ponte da costruirsi denominato della Fratta. Ciò premesso in quanto alla pronta esecuzione del disimpegno, devo rappresentarle sul merito, che senza entrare nello esame del partito adottato per ottenere il massimo scarico alla portata del Sarno, giudico che le vere cagioni degli straripamenti avvenuti sopra-corrente, ed alle quali sarebbe d’uopo portare pronto provvedimento, siano meno assai che il ingorgo alla foce, al certo le altissime barricate permanenti che stanno attraverso quell’alveo pel servizio de’ molini, fra le quali considerevolissima è quella che sta presso il ponte detto della Persica; e che portando il fondo dell’alveo a considerevole altezza al di sopra del vero, le sponde non sono più bastevoli a contenere le piene per la picciola loro altezza residuali sull’orlo di tali parate, per la mancata pendenza e quindi velocità nel corso delle acque, e pel di loro sollevamento dovuto al maggior volume che ne conseguiva. Io sono di parere che il libero esercizio della proprietà ed industria d’un privato, cessa dove comincia il danno d’un altro. Il proprietario d’un molino avrà dunque il dritto d’inalzare le acque d’un fiume privato per animar la sua macchina finchè un tale innalzamento non noccia ad alcuno. Quando nuoce ad un solo, non che a molti ed al pubblico, questo dritto cessa immediatamente, ed il continuarlo si fa un attentato. Dunque quella barricata medesima che nelle acque ordinarie d’un fiume serve leggittimamente all’uso d’un molino perché non produca danno a nessuno, diviene un attentato contro la proprietà altrui, e contro anche la sicurezza pubblica, ne tempi in cui questo fiume corre in piena, e questa barricata produce l’inondazione ed il danno Corso del fiume Sarno dal ponte della persica alla sua foce duna intera contrada. È dunque obligo del proprietario d’un mulino fare la sua barricata in così fatto modo che stia nelle acque ordinarie, e sparisca nelle piene, vale a dire: fare le barricate non già economicamente con pochi pali fascine e materiale ammassato che non si può togliere con prontezza pari a quella con cui il dritto di tenervela scomparisce e diviene un attentato, ma in vece a sistemi regolari che sieno suscettibili d’esser chiuse ne’ tempi ordinari, ed immediatamente aperte ne’ tempi di piene. Non posso dunque tacerle in questo rincontro, Signor Direttore Generale il mio parere di doversi cioè supplicare Sua Maestà il Re nostro Signore a volersi degnare ordinare che tutte le barricate sul fiume Sarno (poiché del Sarno ora si tratta) abbiano da’ proprietari degl’opifici ad esser fatte costruire a porte angolari, e che la proibizione assoluta di quelle permanenti che attualmente vi stanno è a mio parere la vera e sicura precauzione contro i danni che si sono sperimentati, e che la Sua Sovrana munificenza puo’ prevenire.

Le acque fluviali e torrentizie non erano solo utilizzate per animare le macchine e gli ingegni, ma anche per le lavorazioni vere e proprie come nel caso delle cartiere, dove macerazione e lavaggio erano momenti salienti delle procedure di lavorazione. Il 3 dicembre 1822 il sindaco di Maiori, dopo un periodo di grave siccità, scrive all’Intendente che: “[…] ad onta di essersi al termine della stagione piovosa, la penuria di acqua cresce tuttavia in questo comune. La popolazione è divenuta un commovente spettacolo: correndo or qua, or là, per ritrovare ond’estinguere la sete, onde sovvenire agl’altri bisogni della vita; si è veduta finalmente obbligata ad attingere di quell’acqua, che in ogn’altro tempo have aborrita, di quella cioè, che fluisce per lo torrente di questo comune medesimo, dopo aver servito alla macerazione degli stracci di ben quattordici cartiere. Un’acqua siffatta oltre di essere schifosa reca colla sua insalubrità, onde viene affetta dalla putredine, che trova negli stracci, non live nocumento alla salute di chi ne usa. Questo decurionato con seduta dei 21 dello scorso novembre, fu nella necessità di prendere in considerazione lo stato infelice di questa popolazione: propose di avvicinare all’abbitato di questo comune una sorgiva di acqua, che trovasi in una contrada di questo stesso comune denominata Trapulico”.

La documentazione iconografica è stata organizzata per tipologia di produzione, dando la precedenza ai mulini in quanto utilizzano macchine che sono alla base di tutte le altre attività produttive. Lo spazio da dedicare alla documentazione è stato raccolto nell’appendice documentaria che comprende un intervento sul mulino dei Correale di particolare rilievo per il suo prolungarsi nel tempo e per gli interventi sul corso d’acqua asservito alle macchine idrauliche.

Un altro documento di particolare rilievo sia dal punto di vista della ricerca archivistica sia per l’attività produttiva che rappresenta un esempio di indotto, è quello tratto dalla serie Successioni del fondo Ufficio del registro di Salerno, relativo alla falegnameria fatta istallare al connazionale Mauke negli spazi utilizzati dalla ben più grande impresa tessile degli Svizzeri. L’appendice è completata anche da due documenti tratti dai protocolli notarili dove si evidenziano i particolari aspetti della produzione e vendita della carta ed un particolare utilizzo di un ingegno destinato al farro ed al riso, che in quel periodo veniva prodotto nella piana di Salerno.

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